App contro dipendenza da smartphone rimosse da App Store: concorrenza o violazione della privacy?
La dipendenza da smartphone imperversa, ancora una volta, nelle vite quotidiane degli utenti; quando però essa viene combattuta da app che profilano le attività dei privati, l’argomento Cybersecurity viene subito a galla.
Con un articolo rilasciato il 27 Aprile 2019, il New York Times, da studi perpetrati negli anni da quest’ultimo e da Sensor Tower, un’app per il raccoglimento dei dati, si evince che Apple abbia rimosso dal suo App Store 11 delle 17 app più scaricate per ridurre la dipendenza da iPhone.
Tali app, tramite una notifica sulla schermata di blocco che impedisce di usare lo smartphone o tramite la tecnologia del parental control, che permette ai genitori e ai tutori di impostare un timer per ridurre l’utilizzo di quest’ultimo ai propri figli, cercherebbero di ridurre la perdita di focalizzazione per ottimizzare le attività di lavoro e/o di studio.
Arriva pronta la risposta da Cupertino nel giorno seguente, 28 Aprile 2019: Apple vorrebbe rispondere alle continue violazioni della privacy sugli utenti, i quali, ignari, permettono l’accesso a tali app riguardo i propri contenuti sensibili, pratica superflua per il normale utilizzo di queste ultime.
Tutto ciò avviene tramite l’installazione di pacchetti contenenti tecnologie come l’MDM (Mobile Device Management), che sfruttano la geolocalizzazione, la fotocamera, il microfono e l’attività corrente sullo schermo del proprio iPhone per monitorare costantemente l’utilizzo che se ne fa, sotto il fattore comune dell’ottimizzazione della produttività.
Amir Moussavian, Direttore Esecutivo di OurPact, una delle app per il parental control più scaricate su App Store, muove un’aspra critica contro le mosse intraprese da Apple, cercando di sensibilizzare l’utente su un argomento serio come quello dello smartphone addiction: “stanno sopprimendo quest’industria, impedendoci di rilasciare i nostri contenuti senza nessun preavviso”. Concorda Fred Stutzman, Direttore Esecutivo di Freedom, app-timer rimossa da App Store nell’Agosto del 2018, dicendo: “perchè mai Apple dovrebbe limitare l’utilizzo di un proprio dispositivo?”
A detta di quest’ultimo e di altre aziende, come la Kidslox e la Qustodio, quella di Apple è una strategia che invogli gli sviluppatori di tali app a lasciare il posto in favore del tool proprietario della Grande Mela, Screen Time.
A detta di Apple, invece, la sua è una mossa per prevenire e combattere tutte quelle app che si avvalgono delle autorizzazioni concesse dagli utenti per violare la privacy di quest’ultimo, archiviando e usando a fini promozionali i dati sensibili del privato.
L’anno scorso, il 6 Aprile 2018, durante un’intervista a Msnbc, il CEO di Apple, Tim Cook, puntava il dito contro il caso Zuckerberg, che ruotava attorno ai diritti umani sulla privacy: è dubbia, quindi, la rivalsa tra l’azienda e le varie app che prevengono l’emarginazione tramite smartphone, poichè è interesse comune quello di aumentare il controllo sulle fasce d’età meno mature, quella parte di popolazione più incline ad essere cresciuta, in modo nocivo, a pane e smartphone.
Il direttore esecutivo di Mobicip, Suren Ramasubbu, incalza le accuse contro Apple: prima del ritiro della sua app, quest’ultimo avrebbe avuto 30 giorni di tempo per rilasciare un aggiornamento che non violasse il punto 2.5.1 delle linee guida per sviluppatori dell’App Store (utilizzo non appropiato di A.P.I.) e, dopo 4 mail tra lui e il centro assistenza Apple, la sua app è stata rimossa per “problemi irrisolti“.
Così, le questioni legate alla privacy e al marketing sembrano imperversare ancora adesso.
Apple si batte per la riduzione, da parte delle app, delle autorizzazioni che violano la privacy dell’utente; il New York Times, invece, dà voce alle aziende espulse dall’App Store, le quali esprimono che quella di Apple sia solo una strategia di marketing, volta a favorire solo app che collaborano con quest’ultima.
Anche le app ibride tra device Android e Apple sono state rimosse dall’App Store: semplice concorrenza, come espresso dai CEO intervistati dal New York Times o lotta di Apple contro la violazione della privacy?